Il presente non basta. Quando la città aveva il senso della storia, nel ricordo di Napolitano

Dionigi NapolitanoIeri sera, partecipando a Roma alla presentazione del raffinatissimo libro di Ivano Dionigi, Il presente non basta, è stato davvero interessante - e per me motivo di orgoglio - sentire come alcuni grandi protagonisti della cultura e della politica, dal Presidente emerito Giorgio Napolitano, a Carlo Ossola, passando per il Presidente onorario dell’Accademia della Crusca, Francesco Sabatini, nel parlare del latino abbiano sentito la necessità di richiamare persone e fatti che hanno reso onore alla nostra città, Padova. Una città che in certi momenti ha posseduto il senso della storia. Nell’ascoltare quelle parole, il pensiero non poteva non correre ai tempi che viviamo e alle grandi responsabilità che abbiamo ora rispetto al passato e verso il futuro. Ma è proprio da qui che dobbiamo ripartire, con umiltà, serietà e rigore, sapendo che si può e ci si deve rialzare.

Per rendere più vivo il racconto, riporto i passaggi in cui Giorgio Napolitano narra il suo incontro con il latino e con Padova.
“[…] Naturalmente non mi fermai lì perché conclusi il tempo della maturità classica e della vicenda liceale, non all’Umberto I di Napoli, ma al Tito Livio di Padova.

E questa strana opportunità, perché fu un’opportunità per così dire ‘imposta’ o ‘concessa’ dai bombardamenti che indussero la mia famiglia a sfollare molto lontano da Napoli e precisamente nella città di Padova, per la presenza di una qualche protezione di congiunti e di parenti.

E lì conobbi molte cose nuove, lì conobbi molti giovani anche un po’ più avanti di me, comunque già all’Università, e presi l’abitudine di frequentare in una piazza del centro di Padova la libreria Draghi (era una libreria all’epoca molto importante) e di andare di solito la sera a sbirciare in un angolo di quella libreria in cui c’erano delle persone, evidentemente delle persone importanti che facevano conversazione tra loro tutte le sere. Quelle persone erano Concetto Marchesi, Diego Valeri, Manara Valgimigli, grande grecista e traduttore di lirici greci. Incominciai dunque a vedere queste persone e mi giungevano messaggi, da amici che avevo nell’Università, del clima culturale che esisteva, sia pure in una fase ancora di fascismo imperante benché declinante.
Poco dopo io rientrai a Napoli e accaddero cose – diciamo – molto significative in quel di Padova, perché accadde che i tedeschi giunsero a occupare o quasi, comunque ad intimidire con la loro presenza l’inaugurazione dell’anno accademico nel novembre del 1943, dopo che Concetto Marchesi era stato, al tramonto del fascismo, eletto rettore dell’Università. E lì con quella teppaglia presente nell’aula ad intimidire, tenne un bellissimo discorso inaugurale. Ma era sotto tiro e poco dopo capì che doveva necessariamente, per la sua salvezza, abbandonare il rettorato e abbandonare Padova.
Solo che prima di lasciare l’Università rivolse un appello agli studenti, che io considero uno dei testi più memorabili che abbia prodotto la fazione politica, l’impegno civico e anche la sapienza letteraria di quell’epoca. Un appello che si concludeva dicendo: ‘Studenti, mi allontano da voi con la speranza di tornare a voi, maestro e compagno, dopo la fraternità di una lotta insieme combattuta. Per la fede che vi illumina, per lo sdegno che vi accende, non lasciate che l’oppressore disponga ancora della vostra vita, fate risorgere i vostri battaglioni, liberate l’Italia dalla servitù e dalla ignominia, aggiungete al labaro della vostra Università la gloria di una nuova e più grande decorazione in questa battaglia suprema per la giustizia e per la pace del mondo.’
E non si sa, direi, se è italiano o latino, non si sa se sia il discorso di un grande tribuno romano o di uno straordinario patriota italiano del XIX secolo.
Tutto questo lo sapemmo dopo. In quell’Italia spaccata in due, lo sapemmo molto più tardi, capimmo il ruolo che quei professori della libreria Draghi stavano assolvendo: erano tutti i membri dirigenti del Comitato di Liberazione Nazionale di Padova. Credo che queste siano non particolarità o dettagli della personalità di questi grandi uomini delle Lettere e della Storia.
Accadde poi che io mantenessi, personalmente e attraverso la mia famiglia, legami con Padova, legami con una particolare importante galleria d’arte e la Rivista delle Tre Venezie che continuò a pubblicare anche dopo la Liberazione, e l’ambiente era sempre quello stesso di cui ho citato alcuni nomi.[...]”

Insomma una pagina bella della nostra città e del suo ruolo nella storia della cultura e della politica, una testimonianza che, a dispetto dell’odierna ignoranza belluina di alcuni indigeni, lascia il segno di una Padova viva e stimolante. Ed è su questa base che vorremmo costruire per sperare nel futuro. Anche quello più prossimo.

Ivo Rossi

18 gennaio 2017

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