Guido Montesi e quel grido di libertà dei giovani studenti iraniani
Con Guido Montesi se ne va l’interprete di una “transizione gentile” da una stagione Dc cominciata nel secondo dopoguerra a quella del “nuovo progetto” di Gottardo e Giaretta. Ha gestito da gentiluomo mite e saggio un anno difficile in una città da riconciliare dopo la lunga stagione dei conflitti e dei processi.
Voglio qui ricordarlo per un piccolo episodio che aiuta a capire il suo approccio laico e la sua grande sensibilità, merce non così diffusa in una stagione di forte contrapposizione nei confronti degli oppositori politici.
Siamo a cavallo fra il 1981 e il 1982 (vado necessariamente a memoria), quando oltre un centinaio di giovani studenti universitari iraniani, a seguito della deposizione e dell’esilio del primo presidente della Repubblica islamica dell’Iran, Abolhassan Banisadr, da parte di Khomeini e delle Guardie della rivoluzione, iniziano una protesta con sciopero della fame poiché, se avessero fatto ritorno in patria, per il loro impegno politico avrebbero rischiato l’incarcerazione o addirittura la pena di morte.