Discutendo del libro sull'odissea del nuovo ospedale: gli interventi di Giuseppe Zaccaria e Paolo Giaretta


di Giuseppe Zaccaria 

 

Nel titolo del libro di Ivo Rossi che oggi presentiamo, l’aggettivo nuovo assume un sapore involontariamente comico e grottesco, se solo si pensa che si comincia a parlare di nuovo ospedale di Pd agli inizi degli anni Duemila, dando avvio ad un’eterna partita e ad un’incredibile vicenda che a tutt’oggi non si sa prevedere se e quando potranno avere fine.

Ma purtroppo questa non è soltanto una vicenda di storia locale: essa mostra invece esemplarmente il destino di molte, troppe opere pubbliche nel nostro Paese, quello di una casualità degli esiti, dopo decenni di chiacchiere nebulose e inconcludenti, di piccoli conflitti cittadini basati sul nulla, di colpevoli tergiversazioni, nei quali le idee e gli obiettivi della buona politica via via si perdono per strada in un immobilismo imbarazzante, mentre il punto di equilibrio finale, se non si conclude nella completa paralisi dei progetti, è frutto di rassegnazione ed è il  risultato di  una serie più o meno fortuita di coincidenze.

 

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Nonostante tutto, e in particolare nonostante le precise ed evidenti responsabilità di chi per molti anni ha evitato coraggiose e rapide decisioni, negli oltre vent’anni di discussione pubblica sul nuovo ospedale si sono fortunatamente accumulate una serie cospicua di analisi, di conoscenze, di materiali, che a tutt’oggi meritano di essere ripresi e valorizzati. Provo costantemente e istintivamente un moto di ribellione nei confronti del presentismo imperante, che dimentica completamente il passato e vuol far credere che su ogni tema si riparta da zero (naturalmente con il proprio esclusivo apporto determinante…).

Il grande merito del libro di Ivo è quello di avere ordinato e raccolto questi materiali con una documentazione molto accurata, offrendo così la testimonianza appassionata dell’impegno, fin dal primo scritto del luglio 2000) di un protagonista di molte di quelle battaglie, che a differenza di altri ha sempre mantenuto una coerenza ed una linearità di fondo nel suo approccio e nei suoi comportamenti, anche quando- come confessa in uno scritto del 2017 – si è ritrovato in grande solitudine nella città.

Anch’io – in un ruolo diverso da quello di Ivo, mi sono trovato al centro di questi processi nei sei anni di rettorato, 2009-2015, tenendo sempre fermissime e uguali a se stesse due direttrici di fondo: quella di condurre una decisa battaglia, anche ideale, per sostenere la scelta dell’Ateneo e della Scuola Medica (anche vincendo piccole resistenze conservatrici e ogni tentazione di concepirsi come corpo separato) di dare alla città un ospedale completamente nuovo, nuovo nella collocazione e nuovo nella concezione, un polo integrato dell’assistenza, della ricerca e della didattica, respingendo l’idea, perdente e regressiva, di un’abborracciata ristrutturazione di un complesso vecchio ormai più di mezzo secolo.

Una seconda direttrice di fondo è stata quella di dialogare e collaborare instancabilmente con le altre istituzioni, per andare alla ricerca di un punto d’incontro comune con esse, ma sempre a partire da posizioni e intenti strategici ben fermi e chiari. Obiettivo, questo, centrato dopo un immane lavoro per superare piccole beghe di partito e litigiosità personali, con l’Accordo istituzionale  di Programma, del 2 luglio 2013, che firmai con Zaia, Degani e Ivo stesso. Questo accordo, che avrebbe potuto aprire la strada ad una rapida realizzazione della nuova struttura, fu poi come è noto irresponsabilmente stracciato dal sindaco Bitonci, che per l’ intento di esprimere una posizione contraria a quella di chi l’aveva preceduto e per un malinteso e arrogante protagonismo personale, materializzatisi in un no senza motivazioni e in un duro scontro con la Regione e con l’Università, buttava all’aria, contrapponendosi a tutte le altre istituzioni, un lungo e intenso lavoro, anche di individuazione dell’area, concordato nel PATI da ben 17 Amministrazioni Comunali. Così il gioco dell’oca veniva fatto ritornare alla casella di partenza, producendo – come ogni politica del no – paralisi e declino.

Dice bene Ivo in tutto il suo libro che le scelte relative all’ospedale non costituiscono soltanto un problema edilizio o urbanistico, ma sottendono e rivelano la presenza ( o la mancanza ) di un’idea generale della città e del ruolo che in essa hanno sempre giocato nella storia l’eccellenza e la competitività della Scuola Medica. Non voglio minimamente equiparare il modo di operare dell’era Bitonci e dell’era Giordani, con riferimento alla vicenda del nuovo ospedale.  Il primo ha agito con il metodo della rottura, il secondo con quello del rammendo. Ma non posso negare che mi ha colpito nella posizione dei due ultimi Sindaci di Padova, di diverso colore e di ben diversa impostazione politica, il fatto che entrambi abbiano impostato la loro campagna elettorale sulla sciagurata idea della ristrutturazione del vecchio complesso di via Giustiniani, salvo poi cambiare completamente posizione in corso d’opera. Ma ciò che forse ancor più mi ha colpito è la mancanza di visione e di un’idea per la città che abbia la forza la capacità di imprimere una nuova idea di innovazione e di sviluppo della città, generativa quindi di nuova cultura e di nuova economia. Non si possono modificare con una certa disinvoltura e senza spiegarne a fondo le motivazioni ai cittadini scelte di carattere strategico generale: un ospedale non è un oggetto qualunque che si può spostare a piacimento, il tema della sua collocazione non è affatto indifferente, ma comporta interventi incisivi sulla città e sui quartieri interessati. Padova non può solo galleggiare nella semplice gestione del giorno per giorno, senza una visione equilibrata e generale che valorizzi tutte le risorse della città, tra le quali in posizione centrale sono la qualità della scuola Medica e il livello di assistenza che è in grado di fornire. Tra l’altro, anche nei riguardi di una storia di secoli che ha sempre mostrato la sua capacità di guardare al futuro, è un dovere salvaguardare e rafforzare la competitività del polo sanitario padovano a fronte dei crescenti appetiti di Verona e Treviso, generosamente soddisfatti negli anni dalla Regione.

Nella mia Postfazione al volume ricordo la continuità di scelte innovative e strategiche del passato ( dall’inaudita novità nel Cinquecento di una medicina al letto del malato realizzata da Giambattista del Monte nell’Ospedale di san Francesco Grande, dove l’attenzione ai poveri dei fondatori dell’ospedale si coniuga con la sperimentazione di nuovi metodi di cura, alla costruzione, grazie alla lungimiranza del Vescovo di Padova Niccolò Antonio Giustiniani, di una nuova struttura pubblica conclusa alla fine del Settecento, alla realizzazione nei primi anni cinquanta del Novecento del nuovo blocco ospedaliero costituito dal Policlinico e dalle Cliniche universitarie. Scelte e realizzazioni innovative che hanno segnato in profondità e in positivo la storia e lo sviluppo di Padova e contribuito non poco all’attuale qualità che la sanità padovana è in condizione di offrire.

Ho sempre giudicato la scelta di Padova Est sbagliata perché colloca l’ospedale in un’area angusta e in una zona della città, il quadrante est, caotica e già molto appesantita e congestionata. Ma attenzione perché la partita (ancorchè qualcuno parli di una possibile conclusione entro il 2033) non è finita. L’opposizione conservatrice e opportunistica nei confronti di una struttura nuova, che ha molto pesato e frenato nel corso dell’intera vicenda, non è ancora definitivamente vinta. Lo scoglio della sostenibilità economica e del finanziamento dell’opera, ancorchè ormai sottovalutato dai più, rimane in tutto il suo spessore. Il problema del rispetto dei tempi, nonostante gli sforzi profusi dai Direttori generali dell’Azienda Flor prima e Del Ben poi, ritorna puntualmente in ogni passaggio burocratico e non è affatto garantito. Per non dire del tema dei collegamenti con la nuova struttura e di impostazione dei rapporti tra i due poli che si prevedono (di via Giustiniani e di Padova Est) in una forma che eviti doppioni,  sprechi e irrazionalità e che consenta di lavorare in effettiva sinergia , temi questi fino ad oggi largamente trascurati.

Se alla fine, come tutti ci auguriamo, il nuovo ospedale verrà davvero realizzato e, come auspico, ciò avvenga con un’attenzione forte alla progettualità elaborata dall’Ateneo e con una stretta integrazione tra Regione, Comune e Università,  si spera vengano ricordati lo sforzo, la passione e la libertà di pensiero di chi come Ivo ha sempre e da sempre creduto nel progetto e cercato con rigore, tramite scritti, interventi giornalistici e convegni, di orientare il dibattito pubblico verso un nuovo Ospedale al servizio del malato e del cittadino e non di interessi privati e particolari.

 

 

di Paolo Giaretta

Viviamo in un’epoca viziata dal presentismo del dibattito pubblico. Tutto rischia di bruciarsi nell’istante presente; ma se si accetta che il passato diventi rapidamente ignoto si rischia che sia del tutto imprevedibile il futuro. Io resto convinto che il dibattito pubblico, documentato e con spirito costruttivo, al di fuori di prevenute faziosità, sia un grande e positivo strumento per chi ha responsabilità amministrative. Per evitare errori, per rendere più ragionate le decisioni amministrative, con un più solido e duraturo consenso, specie per quelle opere la cui realizzazione supera il singolo mandato amministrativo.

Chi ha la pazienza di leggere il libro di Ivo Rossi capirà che non si tratta di enunciazione di critiche astratte con chissà quali secondi fini. Rossi ha ben conosciuto la fatica dell’amministrare, la necessità di trovare i necessari compromessi, la consapevolezza che non sempre si può fare ciò che piace ma bisogna accontentarsi di ciò che è possibile.

La storia ormai più che ventennale della realizzazione dell’Ospedale Nuovo, mettendo in fila i fatti e le decisioni che si sono succedute, presenta caratteri singolari. Per chi è interessato ad una riflessione. Ripercorrendo la documentazione prodotto dal saggio si può ben rilevare che due Sindaci che si succedono alla guida dell’Amministrazione, contendendosi la carica con maggioranze politiche opposte, convergono tuttavia nel presentare agli elettori la fattibilità del nuovo ospedale realizzandolo nel vecchio sedime. Bitonci per rinnegare le scelte della precedente amministrazione, alimentando una serie di fake news (come il rischio idraulico o possibili vantaggi per i privati) dimostratesi, atti alla mano, del tutto infondate. Giordani tenendo conto che la sua maggioranza premiata dalle urne comprendeva una componente che si era schierata contro la realizzazione del nuovo ospedale perché contraria comunque al consumo di suolo.

L’ipotesi del nuovo sul vecchio era già stato oggetto di attenti studi e da tempo si erano rilevate le enormi criticità per realizzare una ipotesi di questo tipo. Le enunciazioni della campagna elettorale erano destinate a cadere. Difatti quando si è dovuto passare alla operatività se ne è preso rapidamente atto. Intendiamoci: in materia urbanistica non è che esistano verità assolute, tutto è discutibile e se necessario modificabile. Bisognerebbe però adeguatamente motivare le ragioni di un cambiamento della collocazione di una struttura urbanisticamente così rilevante, per lo spazio occupato, per le funzioni che attiva, per le gravitazioni che genera. 

Appare una evidente anomalia. Una volta appurata la non praticabilità del nuovo sul vecchio e che la realizzazione strategica per la città dell’Ospedale Nuovo avrebbe necessariamente comportato un consumo di suolo perché non si è confermata la scelta della localizzazione a Padova Ovest? Cioè una area ritenuta ottimale da approfonditi studi comparativi, acquisibile a basso costo, oggetto di un accordo di programma tra Regione, Università, Comune di Padova e con il consenso dei comuni dell’area urbana. E si è scelto un quadrante della città tra i più intasati, senza possibilità di una espansione futura, oggetto di tensioni speculative sulle aree. Su questo punto le amministrazioni interessate non hanno mai dato una risposta puntuale. Non le hanno date neppure le forze politiche, anche quelle che avevano duramente contestato la scelta dell’amministrazione Bitonci per la collocazione a Padova Est.

Si dirà che si fa quel che si può: Zaia avrà voluto evitare un conflitto con lo sconfitto Bitonci, il nuovo Rettore non si sarà sentito troppo vincolato dalle scelte del predecessore, la composita maggioranza comunale ha trovato così un punto di equilibrio. Chi come me ha avuto una lunga esperienza amministrativa sa bene che bisogna accettare di comporre le diversità e seguire le strade possibili ancorché non ottimali. E tuttavia bisogna evitare che il pragmatismo necessario diventi indifferenza alle ragioni di fondo. Perché se tutto diventa modificabile, provvisorio, al di fuori di un disegno generale anche le opinioni degli elettori diventano emotive e transitorie, anche gli operatori economici e i possibili investitori diffidano della stabilità delle decisioni pubbliche.

Volendo guardare al di là di questa pur rilevante decisione potremmo rilevare un malessere dei processi decisionali, della partecipazione democratica, che caratterizza questa fase storica. Sembrano essere presenti nell’agorà pubblica due soli attori: i detentori di un potere sempre più concentrato (il Capo del Governo rispetto al Governo e al Parlamento, il Sindaco rispetto alla Giunta ed al Consiglio Comunale, ecc.) e la piazza, sia quella fisica ed ancor più quella virtuale, con una rappresentazione distorta della comunità. Non occorre ricordare le parole di Alessandro Manzoni o gli studi sulla psicologia delle folle di Gustave le Bon per sapere che la piazza è il ruolo della emotività e che la funzione di governo avrebbe necessità di alimentarsi con la funzione della rappresentanza; ma nella agorà pubblica sono fortemente indeboliti quei soggetti (partiti, sindacati, associazioni della rappresentanza degli interessi, ceto intellettuale) che in passato hanno reso partecipato il processo decisionale e fruttifero il dibattito pubblico. 

Non ci si poi meravigliare se la partecipazione elettorale cali continuamente fino a scendere sotto il 50% del corpo elettorale: il compito di governo è affidato alla minoranza di una minoranza, con leggi elettorali maggioritarie che deformano il mandato elettorale. Come si vede da fatti singoli si può anche ricavare una riflessione molto più ampia: è il malessere della democrazia che si manifesta a livello planetario, e dovremmo esserne preoccupati ed agire per quanto si può ognuno al proprio livello di responsabilità.

Tornando alla questione dell’Ospedale Nuovo guardiamo agli aspetti positivi, in ogni caso si è realizzata una convergenza di volontà dei soggetti deputati alla realizzazione: il Comune per l’individuazione dell’area, la Regione per il finanziamento e le procedure realizzative, l’Università per le modalità necessarie ad assicurare la buona cura e la ricerca avanzata.

Un patrimonio da sfruttare naturalmente. E tuttavia molte restano le cose da decidere. Che modello di ospedale e quale integrazione con gli altri presidi, non solo il Giustinianeo ma anche il Sant’Antonio e lo IOV, pur depauperato. Il prof. Merigliano ha ben descritto la profonda innovazione che è derivata dallo stress del Covid per ripensare i modelli ospedalieri. Questione da lasciare solo agli addetti ai lavori, alla Scuola Medica o questione che deve veder partecipare attraverso un dibattito trasparente gli altri attori istituzionali, l’ampio mondo di volontariato che supporta il buon funzionamento della macchina della cura sanitaria e sociale? 

Superata la questione della localizzazione, quella delle procedure amministrative, degli appalti, ecc. si dovrà pur riportare al centro la questione della persona che ha bisogno della cura nel senso più ampio del termine. Restando all’altezza della nostra storia. Nel Settecento il Vescovo Nicolò Antonio Giustiniani decide con carità ostinata di dotare Padova di un grande e confortevole ospedale, pensando ad un complesso in grado di reggere il confronto con i più celebri ospedali europei per funzionalità e dimensioni.

E poi: come si inserisce l’Ospedale Nuovo nel quartiere, quali relazioni con il contesto urbano, quali collegamenti con il polo del Giustinianeo, come si procederà a realizzare il parco delle Mura nonostante la costruzione di tre nuovi imponenti volumi per ospitare l’Ospedale della Mamma e del Bambino.

Il saggio di Rossi dunque invita guardare al futuro. Qualche infastidita reazione non ha forse colto l’occasione positiva di un confronto alto su una delle risorse strategica della comunità urbana.

 

Chi sono

Sono nato il 18 marzo 1955 a Padova dove vivo con mia moglie Franca. Sono laureato in Scienze Politiche con voto 110 su 110 e lode, con una tesi sugli istituti di democrazia diretta.

Sono dirigente della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie dove mi occupo di autonomie speciali e del negoziato per l’attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, in materia di autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario. Faccio parte della Commissione Tecnica per i fabbisogni standard di comuni e regioni e della segreteria tecnica della Comitato per la Banda ultra larga. 

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