Lo "sviluppo scorsoio" di Padova est al bivio della pandemia

Le recenti polemiche, seguite alla richiesta di apertura di un nuovo centro commerciale Aspiag/Despar a Padova est, riaccendono i riflettori sulla visione della città, sulle trasformazioni urbanistiche, sugli interessi in gioco sulle aree e su come la crisi del 2008, e quella in corso creata dalla pandemia, trasformino le aspettative degli investitori e rimandino al ruolo regolatore e stimolatore delle istituzioni pubbliche.

Per il futuro di Padova est, e non solo, gli ultimi vent’anni sono densi di indicazioni in proposito. 

E’ infatti nei primi anni del 2000 che la giunta a guida Destro prevede la completa trasformazione delle aree, comprese fra il casello di Padova est e la Stanga, in una delle più grandi vetrine commerciali del Veneto. E molte scelte, come nel caso dell’Ikea, avvengono guidate direttamente, senza mediazione alcuna, dagli interessi in gioco. Per quella che una volta veniva chiamata “speculazione immobiliare” sono anni ruggenti. Sono gli anni di Veneto city e del suo gigantismo.

Quelle indicazioni riflettono la propensione degli investitori e della politica a immaginare la scorciatoia dello “sviluppo scorsoio”, come l’avrebbe chiamato Zanzotto, legato al consumo: quello commerciale e quello del suolo. Sono molti gli investitori che si tuffano nel nuovo affare considerato privo di rischi. Sono gli anni della legge Tremonti, che consentiva di detassare il reinvestimento degli utili d'impresa nella costruzione di capannoni, destinati nella loro bruttezza e inutilità a rimanere testimonianza di una stagione infausta per la bellezza del territorio Veneto. 

La crisi del 2008, generata dalla bolla immobiliare statunitense, che da noi si manifesta a partire dal 2011/12, mette progressivamente in difficoltà chi sulle aree e sui risultati attesi aveva scommesso. Progetti immobiliari, alcuni anche di un certo interesse urbanistico, naufragano, e con essi anche chi, imprenditori edili e banche generose, ci avevano scommesso. La vicenda delle popolari, e non solo, con i loro crediti deteriorati, i loro fallimenti e la dissipazione dei risparmi dei veneti restano a testimonianza dolorosa di quella stagione.

Nel frattempo, anche se molto più lentamente rispetto ad altri paesi, crescevano anche da noi lgli acquisti online e i pagamenti elettronici, destinati nel futuro a cambiare la fisionomia del commercio, compreso quello che aveva puntato sui grandi centri commerciali e sulla silente desertificazione del piccolo commercio al dettaglio. Mentre c’era chi investiva, come da noi, nelle grandi cattedrali del consumo, da altre parti l’investimento in piattaforme tecnologiche cambiava le carte in tavola per tutti.

Quella crisi ha lasciato le sue visibili macerie fumanti nelle aree del cosiddetto ‘lago di Padova’, passato più volte di mano, nelle aree di San Lazzaro, su cui più di uno si è scottato le mani, e sull’area ora Aspiag/Despar in attesa del momento migliore per inserire all’interno del centro commerciale la destinazione alimentare non prevista dal piano originario. Ricordo come, già all’epoca, ad analoga richiesta a quella avanzata in questi giorni, venisse opposto un fermo no all’alimentare e il rispetto del piano in vigore. 

La vicenda di oggi, pur con tutte le ipocrisie che trascina nella polemica politica e sulle responsabilità dell’aperture di nuove superfici di vendita, mette in evidenza come sia necessario riannodare i fili di un pensiero che le crisi di ieri e quella di oggi mostrano con tutta evidenza.

Siamo in presenza di un cambiamento radicale dei modelli di consumo, destinato a modificare le nostre città, la loro vita sociale e la loro stessa tenuta a causa della perdita di reddito di migliaia di piccole imprese commerciali. In questo senso, le rassicuranti quanto palliative logiche paternalistiche che si intravvedono nelle polemiche di questi giorni non aiutano. Le città cambieranno volto perché fra qualche anno il concetto di ufficio cambierà completamente significato per molte attività e per l’indotto di servizi che assicuravano. Con queste rivoluzioni molti lavori sono destinati a essere sostituiti da altri. 

A queste trasformazioni indotte dalle crisi, a questi salti della storia che introducono a nuovi orizzonti, la scelta che si pone è fra assistere impotenti oppure, e questo spetta alla politica, governare il cambiamento e i processi di modernizzazione in atto e allo stesso tempo accompagnare le categorie che più di altre sono colpite e rischiano di essere travolte. 

In questo senso la vicenda Aspiag, il cui progetto con l’inconfondibile nuvola di vetro porta una firma inequivocabile, introduce a una riflessione più generale sul destino di tutta la zona che si estende dal casello alla Stanga. Il “soccorso immobiliare”, che con lo spostamento del nuovo ospedale da Padova ovest a San Lazzaro, ha consentito agli investitori sopravvissuti e alle banche di recuperare il loro capitale di rischio (in questo caso rischio ridotto, a seguito del generoso quanto improvvido e decisamente miope intervento pubblico) è destinato ad aggravare il congestionamento veicolare dell’intero quadrante. E’ del tutto evidente che la sostenibilità urbana, con l’intervento Despar rischierebbe di generare la paralisi dell’area con effetti cumulativi sul nuovo ospedale e sull’intera città. Insomma sarebbe come ricreare la paralisi del vecchio nodo della Stanga un km prima del Biri. Un ospedale all’interno di un’area commerciale e artigianale non si era ancora visto. Per questo probabilmente, qualora fosse ancora d’interesse per la città discutere del proprio futuro, andrebbe ripresa una riflessione e poste le basi di un disegno - anche con il concorso degli interessi in gioco, che possono così trovare una nuova prospettiva - a partire dal lago sotto al ponte Darwin fino all’area del centro Giotto, che soffre la condizione del tempo che passa. Una classe politica ambiziosa, che attualmente ha ipotizzato la realizzazione della questura nel retrobottega di via Anelli, probabilmente è nelle condizioni di rileggere le scelte fatte in un’altra era geologica. E’ una sfida alta che la città sicuramente saluterebbe come una grande occasione per ripensarsi e per immaginarsi nel futuro. Il tempo è maturo. Le risorse intellettuali in questa nostra città ci sono tutte. Contrariamente alle comunità che soffrono i dibattiti e si avviano alla decadenza diventando luoghi senza futuro, la nostra è una città che può tornare a fare la differenza e a scommettere su se stessa.

 

Ivo Rossi

 

Padova 23 novembre 2020

Chi sono

Sono nato il 18 marzo 1955 a Padova dove vivo con mia moglie Franca. Sono laureato in Scienze Politiche con voto 110 su 110 e lode, con una tesi sugli istituti di democrazia diretta.

Sono dirigente della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie dove mi occupo di autonomie speciali e del negoziato per l’attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, in materia di autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario. Faccio parte della Commissione Tecnica per i fabbisogni standard di comuni e regioni e della segreteria tecnica della Comitato per la Banda ultra larga. 

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