Centralismo e regionalismo nella stagione del coronavirus - di Gianclaudio Bressa e Ivo Rossi

Se c’è una cosa di cui in queste settimane non si sente il bisogno è il ritorno ideologico alla disfida fra regionalisti e centralisti. Ci sarà tempo per accertare come, in questa drammatica emergenza, hanno funzionato i diversi sistemi e sulla loro capacità di implementare, giorno dopo giorno, risposte nuove. Si può fin da oggi dire che è l’intera comunità internazionale ad aver mostrato tutta la sua impreparazione di fronte al cigno nero, che con la salute pubblica sta colpendo buona parte dei nostri sistemi economici. Se certamente crea sconcerto e genera inutile confusione la polemica messa in scena quotidianamente da parte di alcuni Presidenti di Regione - pronti a scaricare colpe sullo Stato e ad auto assolversi - la risposta non può essere un richiamo della competenza tout court in capo allo Stato. All’immaturità e strumentalità di alcuni Presidenti, pronti a mettere in secondo piano gli interessi della comunità amministrata rispetto all’appartenenza politica, non si può rispondere cancellando le lezioni positive date da alcune gestioni regionali.

Proprio perché siamo in presenza di uno stress test senza precedenti, inseguire questa polemica fastidiosa, proponendo, come ha fatto il vice segretario nazionale del Pd, un ritorno a competenze centralizzate, è quanto di più sbagliato possa fare chi si candida a riformare questo paese, tanto più se questo proviene da una cultura politica che ha dato vita alla riforma del Titolo V della Costituzione. Una riforma che a distanza di tempo mostra certamente alcuni limiti, che sarà necessario correggere, ma che nel suo impianto autonomistico va tuttavia conservata e aggiornata. 

Non si può essere regionalisti con il bel tempo e centralisti quando arriva la tempesta.  

Questa vicenda richiederà una riflessione ampia, che sappia immaginare una eventuale messa a punto di aggiustamenti della nostra Carta costituzionale, in particolare per quanto riguarda la gestione di emergenze, da definirsi e circoscrivere puntualmente, come quella sanitaria in corso. E nella gestione dell’emergenze potrà eventualmente essere prevista, in modo chiaro, una clausola di supremazia da parte dello Stato per evitare la babele di ordinanze. 

Confondere però esigenza emergenziale con rigurgiti centralistici strutturali non solo è pericoloso, ma rischia di produrre danni al funzionamento delle nostre istituzioni.

Questa vicenda semmai mette in mostra i diversi gradi di affidabilità ed efficienza dei diversi sistemi sanitari regionali, che già da tempo, in alcune parti, non garantiscono in modo adeguato il fondamentale diritto alla salute. 

Ma il principio di eguaglianza va fatto valere, in questo caso sì, con più Stato, nei confronti delle regioni che in questi anni hanno dato prova, a parità di risorse messe a disposizione delle regioni,  di inefficienza patologica. E’ là che si deve intervenire.

Vi sono altre Regioni come l’Emilia Romagna, il Veneto, la Toscana, solo per citarne alcune, che hanno dimostrato, con modelli differenziati che si adattano ai rispettivi territori e alle rispettive sub culture, di saper offrire una sanità di alto livello. Le vicende di queste settimane stanno mettendo in luce come anche fra le regioni considerate o autodichiaratesi efficienti vi sono differenze significative che incidono profondamente sui diritti. In particolare la presenza debordante del privato in sanità mostra in queste settimane tutti i suoi limiti, limiti che stanno pagando a carissimo prezzo i cittadini di quelle parti del paese. 

Abbiamo bisogno di un approccio laico, che si confronti con i fatti, quelli di ieri e sugli esiti di oggi. Andranno modulati aggiustamenti. Di tutto abbiamo bisogno fuorché del bazooka centralistico.

In fondo, lo Stato, in queste settimane difficili, ha saputo dimostrare, anche nei confronti di alcuni Presidenti finiti sulle barricate, che è più forte, proprio grazie all’esercizio del confronto e al fatto che tutti i cittadini, indipendentemente dalla regione di appartenenza, abbiano le stesse attenzioni.

E’ un esercizio faticosissimo. Ma non ha alternative.

Gianclaudio Bressa

Ivo Rossi 

 

Chi sono

Sono nato il 18 marzo 1955 a Padova dove vivo con mia moglie Franca. Sono laureato in Scienze Politiche con voto 110 su 110 e lode, con una tesi sugli istituti di democrazia diretta.

Sono dirigente della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie dove mi occupo di autonomie speciali e del negoziato per l’attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, in materia di autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario. Faccio parte della Commissione Tecnica per i fabbisogni standard di comuni e regioni e della segreteria tecnica della Comitato per la Banda ultra larga. 

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