Il Veneto dei sette nani e lo spezzatino di Venezia

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Ci si è spesso interrogati sulle ragioni per cui il Veneto, in passato considerato un gigante economico e allo stesso tempo un nano politico, non contasse nulla a “Roma”.  Una risposta la sta dando in questi giorni il consiglio regionale chiamato ad esprimere il giudizio di “meritevolezza” alla quinta proposta di separazione del comune di Venezia, nel frattempo diventato capoluogo della città metropolitana omonima. Il possesso di una visione strategica circa il ruolo fondamentale che le città esercitano nella competizione economica e dunque nella crescita di un territorio, unita alla ragionevolezza politica e ai dettami della stessa legge istitutiva della città metropolitana avrebbero dovuto indurre il consiglio a cassare con un “basta, non se ne può più” una proposta priva di senso e contro legge.

Priva di senso in quanto pensata solo in chiave tardo localista, guidata dalla piccola bottega degli interessi, per di più estranea alla lunga tradizione culturale e politica che ha visto nei secoli passati la città di Venezia fungere da “stato metropolitano”, motore di sviluppo di un’area vastissima. Si sa, i tempi cambiano, e l’orizzonte di oggi sembra guardare sempre più al cortile domestico ed ha difficoltà di guardare oltre il Marzenego e Zelarino.

Non sfugge a nessuno come le ragioni che portano ad un voto così irragionevolmente dispettoso – e lo dico da padovano orgoglioso del ruolo della sua città che con Venezia è sempre stata in competizione, e che dunque potrebbe gioire delle divisioni veneziane- siano da ricercare, da una parte nello scontro in atto fra la lega di Zaia e il sindaco Brugnaro, e dall’altra, ed è storia che si ripete dai primi anni novanta, nelle ragioni di chi vede nella città metropolitana un ente territoriale “concorrente” a cui la Costituzione e la legge attribuisce funzioni diverse dai vecchi enti territoriali per attribuire compiti fondamentali di sviluppo.  

Ai fautori delle guerre da campanile, evidentemente più interessati al gioco politico di contrasto dell’avversario rispetto alle grandi sfide della competizione e della crescita, poco importa che dopo 25 anni sia stata istituita la città metropolitana, che la stessa abbia assunto rilievo ed una tutela costituzionale, che il capoluogo, come elemento costitutivo dell’ente di cui il sindaco è al vertice, diventi anche elemento costitutivo dell’ente comunale il cui sindaco è di diritto sindaco della città metropolitana, stabilendo in tal modo un nesso inscindibile fra sindaco del comune e sindaco metropolitano.  Poco importa che la legge 56/2014 stabilisca un procedimento speciale per il referendum modificativo del territorio comunale e che dunque risulti inapplicabile la legge regionale n. 25 del 1992.

E’ del tutto evidente che il rinvio in aula del giudizio di meritevolezza, contrastato anche dal parere dell’ufficio legale della regione, sia funzionale non solo ad aprire un conflitto con il comune e dunque a regolare i conti con Brugnaro, a ridurre Venezia a poco più di una nobile espressione geografica, ma anche ad aprirlo con lo Stato, contando sul fatto che l’impugnabilità in Corte Costituzionale della legge avverrebbe a valle del processo referendario. Alla faccia della leale collaborazione, verrebbe da dire. D’altra parte, il gioco del leghismo regionale, oltre a isolare Venezia, nonostante ne abbia assunto impropriamente le bandiere, mira a isolare anche il Veneto, come si evince dalla proposta di legge all’ordine del giorno della commissione per un referendum sull’Indipendenza, già cassato dalla Corte.  E’ evidente che in assenza di una visione del futuro l’unica arma che rimane è quella dell’apertura di inutili e dannosi conflitti. Anziché guardare avanti, ci si guarda indietro, si sguazza nel cortile domestico accompagnando la decadenza.

Il secondo motivo, quello legato alle preoccupazioni circa il ruolo che la città metropolitana potrebbe e dovrebbe esercitare, rimanda al 1990, quando - e lo ricordo bene avendolo vissuto dai banchi del consiglio - la regione del policentrismo acefalo, dimostrava preoccupazione verso una istituzione considerata potenzialmente concorrente, e dunque da ridurre al massimo all’area compresa fra Venezia e Martellago.

Spiace davvero che in queste battaglie di retroguardia, che si ripetono stancamente, si sia unito anche qualche esponente del Pd che, in nome dell’opposizione e della rivincita su Brugnaro, sceglie una strada fatta solo di tattica politica contingente che finisce per indebolire il Veneto tutto. Non è stato per nulla un caso che, quando il centro sinistra amministrava le due città di Padova e di Venezia, si sia lavorato per fare in modo che la legge 56/14 consentisse di creare un’unica città metropolitana comprendente Padova e Venezia, cosa poi avvenuta con l’approvazione dell’art. 1 comma 6. E non è stato un caso che il consiglio comunale di Padova, quando possedeva una visione, si fosse espresso in tal senso solo tre anni fa.

Insomma va recuperato un disegno delle istituzioni di questa nostra terra permanentemente divisa in piccole fazioni, per evitare non solo di dimostrare al mondo il nanismo che ci perseguita, ma anche per recuperare un ruolo nazionale, in quel paese che nel suo inno contiene la nostra fotografia: “Noi fummo da secoli calpesti, derisi, perché non siam popolo, perché siam divisi”.

Ivo Rossi

Padova 14 settembre 2016

 

leggi anche: Città metropolitane, il ruolo di Venezia e l'autoisolamento di Padova

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