L'acquitrino non c'era e la relazione era solo un contributo. L'ospedale nella palude dei veggenti del quartierino

LAutunnoLeggendo la nota dell’ing. Pinato, - autore della relazione che ha trasformato un appezzamento coltivato a granoturco in una palude adatta al riso o all'itticoltura - nota allegata agli atti della seduta del 7 giugno 2016 del Comitato di coordinamento per la realizzazione del nuovo polo della salute di Padova, mi è tornata alla memoria la sentenza del Tar del Veneto n. 588 del 25 maggio 2015 con la quale sono stati annullati gli atti del Comune e della Regione - in ordine alla realizzazione del nuovo ospedale - in quanto quest’ultima, come sostiene la sentenza, non poteva revocare l'accordo semplicemente “prendendo atto della posizione assunta dal Comune, contraria alla realizzazione del polo della salute nel sito di Padova Ovest”, non essendo sufficiente, come argomento, che il Comune avesse cambiato idea.

Il Tar, in particolare, rilevava che “il ripensamento operato dal Comune di Padova sul tema della localizzazione del nuovo ospedale, motivato, per quanto emergeva dalla DCC n. 500/14, in relazione a problematiche di carattere idrogeologico legate a timori di allagamenti del sito di Padova Ovest, ….”, e dunque riteneva che “le amministrazioni coinvolte dovevano, per poter interrompere legittimamente il procedimento, valutare l'idoneità delle soluzioni offerte dal proponente rispetto alle problematiche suddette e valutare le soluzioni in contraddittorio…”.

Come ricorda bene il Tar nella sua sentenza, la tesi del Comune di Padova, a sostegno dello spostamento dell’ospedale da Padova ovest a est, è riconducibile alle presunte “problematiche di carattere idrogeologico legate a timori di allagamento del sito di Padova ovest”, tesi avallata dal Comitato di coordinamento, in modo singolare, senza verifiche oggettive a giustificazione di tali valutazioni.

All’origine dei timori vi sarebbe stato il dibattito suscitato da una non meglio specificata “nota” del 4/9/2013 del direttore del Dipartimento Difesa Suolo e Foreste, che peraltro non è mai entrata ufficialmente fra gli atti a supporto della tesi.

Ora si scopre che questa relazione, su cui si sono fondati i presunti timori di allagamenti e le conseguenti giustificazioni di modifica di un atto già assunto con accordo di programma, altro non sarebbe, come sostiene nella sua lettera l’ing. Pinato, che un semplice “contributo”, a cui, evidentemente, non si sarebbe dovuto dare eccessivo credito, tant’è che “meritava approfondimenti”. Dunque non si tratterebbe di una relazione tecnica impegnativa per le affermazioni ivi contenute, ma una semplice riflessione per una “corretta progettazione delle opere previste”. Insomma, volendo, potrebbe essere considerato un contributo ai proponenti, che però è davvero strano non sia mai stato oggetto di confronto fra stazione appaltante e proponente.
Tant’è che lo stesso Pinato si dice preoccupato perché “stanno per essere prese” decisioni “sembra in base esclusivamente a questa relazione, spostamenti di aree con relativi conseguenze economiche e contenzioso”.
Insomma l’autore, dimentico che le decisioni fondamentali - che fanno seguito alla sua nota - sono già state assunte prendendo a pretesto i suoi scritti, sembra lasciar intendere che il documento presentato sarebbe stato solo un “contributo” personale, che sia pur divulgato su carta intestata della Regione del Veneto a firma del Direttore del Dipartimento Difesa Suolo e Foreste, non rappresenta un atto impegnativo per la stessa Regione.

Può un dirigente della Regione produrre “contributi personali" e non “atti” di questa portata, destinati a incidere in modo decisivo su decisioni strategiche per la sanità e il futuro della città di Padova? E da quando in qua i “contributi” vengono vergati su carta intestata della Regione?

C’è da chiedersi se si sia trattato di un “contributo” volontario, oppure richiesto dal Presidente o da altri rappresentanti dell’organo politico. E va da sé che, se richiesto dall’organo politico, viene da chiedersi: perché la giunta regionale non se ne è avvalsa? Ma anche se non l’avesse richiesto l’organo politico, per quale motivo la Regione, che aveva prodotto l’atto, non ne ha tratto le dovute e inevitabili conseguenze? Si potrebbe anche pensare che non l’abbia preso in considerazione proprio perché lo riteneva un “contributo” di scarso significato.
E se si trattava di un semplice “contributo”, una cosa poco meditata, da non prendere in considerazione, quale valore poteva avere a supporto delle decisioni assunte in sede di Comitato? Ed è mai possibile che nessuno dei qualificatissimi componenti il comitato abbia sentito il bisogno di chiedere approfondimenti su un contributo personale relativo ad un tema di questa portata?

E se il “contributo” non l’ha chiesto l'organo politico, chi altri potrebbe averlo chiesto?
Certo è, come risulta dal processo penale in corso sulla vicenda Arpav, che sembrerebbe escludersi una volontarietà dell'atto, stante l'affermazione resa durante il dibattimento dall'ing. Pinato il quale ha affermato che "avrebbe subito pressioni" affinché l'area fosse fatta apparire come un acquitrino.

La lettera dunque, anziché chiarire i tanti dubbi relativi alle decisioni assunte e ai motivi che le hanno indotte, ne introduce di nuovi, confermando che l’area di Padova ovest non è mai stata una palude, come qualcuno ha voluto ossessivamente far credere, e che le scelte fatte rispondevano ad altre logiche diverse da quelle addotte. Giova ricordare che questo è avvenuto anche a dispetto delle valutazioni espresse dal Tar, e mai confutate, e su cui lo stesso Tar è chiamato a pronunciarsi nei prossimi mesi.

È davvero drammatico pensare che tutto questo sta avvenendo sulla pelle degli ammalati, della sanità padovana e a danno dell'Università. Diradare le ombre deve diventare l'obiettivo prioritario. Altro che gli appelli di questi giorni all'insegna del "cosa fatta capo ha", e "scurdammoce ‘o passato”!

Ivo Rossi

Padova 10 giugno 2016

Intervento su Il Mattino 14-6-2016

Intervento su Il Gazzettino 16-6-2016

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