Il Kosovo, la Catalogna e noi. Quando il calcio veste la maglia della politica
Quando la secessione catalana, come riportato ieri sul principale quotidiano nazionale, viene raccontata con leggerezza attraverso la parabola del calcio, e la possibile futura partecipazione a due distinti campionati di Real Madrid e Barcellona viene banalizzata sostenendo che: “In fondo anche il Kosovo oggi ha una sua nazionale”, è evidente che siamo di fronte alla perdita di senso delle parole. E’ come se le tragedie dell’ultimo quarto di secolo non avessero insegnato nulla.
Il richiamo al Kosovo, dove esiste ancora oggi un contingente ONU (carabinieri italiani compresi) a garanzia della pace, rimanda al delicato racconto di Gigi Riva (più volte richiamato in questi giorni): "L'ultimo rigore di Faruk", che, attraverso il calcio, le sfide fra Dinamo Zagabria e Stella Rossa di Belgrado, racconta i tamburi di guerra, dapprima fra le tifoserie, poi fra gruppi di ultras e infine nei campi di battaglia dove risuonava il fragore delle armi, che hanno portato poi alla dissoluzione della ex Jugoslavia.
Una vicenda, quella della disgregazione della Jugoslavia, di cui sono stato testimone in un lontano e freddo 23 dicembre del 1990, quando, in qualità di osservatore internazionale, ho assistito al voto e alle successive operazioni di spoglio del plebiscito per l’autonomia della Slovenia dalla Jugoslavia. Una giornata passata fra i seggi della città e delle campagne dove si respirava l’odore acre del fumo prodotto dal carbone che usciva dai camini.