Guido Montesi e quel grido di libertà dei giovani studenti iraniani

Montesi 20.04.31Con Guido Montesi se ne va l’interprete di una “transizione gentile” da una stagione Dc cominciata nel secondo dopoguerra a quella del “nuovo progetto” di Gottardo e Giaretta. Ha gestito da gentiluomo mite e saggio un anno difficile in una città da riconciliare dopo la lunga stagione dei conflitti e dei processi.
Voglio qui ricordarlo per un piccolo episodio che aiuta a capire il suo approccio laico e la sua grande sensibilità, merce non così diffusa in una stagione di forte contrapposizione nei confronti degli oppositori politici.
Siamo a cavallo fra il 1981 e il 1982 (vado necessariamente a memoria), quando oltre un centinaio di giovani studenti universitari iraniani, a seguito della deposizione e dell’esilio del primo presidente della Repubblica islamica dell’Iran, Abolhassan Banisadr, da parte di Khomeini e delle Guardie della rivoluzione, iniziano una protesta con sciopero della fame poiché, se avessero fatto ritorno in patria, per il loro impegno politico avrebbero rischiato l’incarcerazione o addirittura la pena di morte.


La sede che li ospita in quei giorni drammatici si trova in via Roma, uno spazio in cui convivono Dp, l’Unione inquilini ed altre associazioni, uno luogo alternativo, due stanze e un piccolissimo servizio igienico, inadeguato di fronte ai problemi generati dalla convivenza forzata di centinaia di persone. La situazione igienica, infatti, nel giro di pochi giorni diventa insostenibile e rischiosa per la salute dei giovani studenti.
Ricordo l’incontro con Montesi nel suo studio da sindaco - all’epoca una sorta di sancta sanctorum per chi non facesse parte dell’establishment - con lui attento, sensibile e pronto, anche facendo i conti con il perbenismo dell’epoca, a farsi carico e interprete di un problema che riguardava il futuro e la libertà di centinaia di ragazzi.
Fu lui a proporre di accogliere quegli studenti in una struttura pubblica di via Col Moschin, zona aeroporto, e di mettere a disposizione alcuni autobus dell’Acap per trasferirli da via Roma fino alla nuova sede.
E fu così che, grazie a “vecio mio” (come avevamo soprannominato Montesi, usando il suo stesso affettuoso approccio), quei ragazzi trovarono un luogo adeguato per continuare la protesta anti-regime. Molti di loro si sono poi laureati nella nostra università, alcuni si sono fermati a vivere in città che, già prima dell’Erasmus, era un crocevia di giovani provenienti dal Medio Oriente e dall’intero bacino del Mediterraneo.
Guido Montesi, con quel gesto, dimostrò il suo valore di uomo e il grande cuore e la sensibilità della nostra città verso i rifugiati e verso le grandi questioni della democrazia e della libertà.
Un piccola lezione che merita di essere ricordata.
Ciao Guido

Padova, 27 gennaio 2020

Ivo Rossi

 

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