Dal bianco e nero al technicolor. 1978, il Mattino trasforma la carta in piazza virtuale
Caro direttore, per chi, in quel 1978 pieno di contraddizioni e cambiamenti, aveva poco più che vent’anni e viveva le inquietudini di una generazione che sognava di diventare protagonista del proprio futuro, il Mattino è stato una rottura dello status quo ante, ha creato un luogo che prima non c’era, una piazza animata dai tanti, in particolare giovani e forze sociali e sindacali allora protagoniste, che sentivano il bisogno di capire il tempo che si annunciava. Ha offerto ai padovani nuove chiavi di lettura per leggere e interpretare una realtà fino ad allora vista solo in bianco e nero, rompendo un’informazione fatta di cronaca e di “veline” alla Vittorio Orefice, quei bollettini ufficiali che registravano solo ciò che il potere riteneva fosse consentito far sapere. Era come respirare una boccata d'aria fresca, trasmessa da un gruppo di giovani giornalisti a cui era concesso, grazie ad un editore lungimirante e controcorrente, di raccontare il mondo con occhi nuovi, e raccontarlo in technicolor, senza più strutture lessicali paludate.
In quella piazza alcuni giovani cronisti hanno spogliato la politica, fatta di delibere e di perbenismo inamidato, raccontando il dietro le quinte, mostrando i protagonisti nella loro umanità, raccontando nuove visioni di futuro. Voglio ricordare, una per tutti, Claudia Basso, scomparsa giovanissima nel 1989, protagonista sagace dell’innovazione linguistica e narrativa. Dalla sua penna i protagonisti perdevano una fisionomia astratta e neutra per assumere una dimensione oserei definire corporea, con cui il lettore entrava in contatto tridimensionale. In quella piazza per la prima volta il linguaggio trasformava la materia raccontata, così il pareggio del calcio Padova diventava una minestrina riscaldata, il sindaco diventava spanna montata.
Quella piazza ha contribuito a generare un piccolo terremoto nei partiti e nel loro linguaggio. Oggi diremmo ha provocato una prima disintermediazione fra la politica e la società. Ha messo a disposizione della politica uno strumento di dialogo diretto con i cittadini, facendo venir meno una prassi, in particolare dei grandi partiti di massa di allora (la Dc e il Pci) che costruivano la “linea”, attraverso il coinvolgimento delle sezioni. La linea che si formava all’interno della struttura-partito è stata travolta dalla piazza a cui ogni giorno quella politica doveva ricorrere, oggi diremmo “in tempo reale”, per parlare direttamente a tutti, non solo al corpo sociale di riferimento. Possiamo dire che per la prima volta i consigli comunali, le assemblee pubbliche, sono state portate in uno spazio aperto, con il loro carico di passioni e in tutta la loro dimensione, compresa quella conflittuale, con le grandezze e le miserie dei suoi protagonisti.
Quella piazza è diventa luogo in cui la città tutta ha imparato a confrontare idee e suggestioni, facendo scoprire nuovi protagonisti, fino ad allora rigorosamente chiusi nei loro mondi. Penso a una generazione di universitari e figli di altre professioni, che hanno fatto palestra in quelle pagine in cui opinioni diverse cominciavano a trovare spazio, fuori dall’angusto angolo delle lettere. Quel luogo ha aiutato a sprovincializzare il dibattito.
Stiamo parlando di una piazza che ha contribuito a fare della città ciò che oggi siamo, perché tutti noi, le nostre aspirazioni e le nostre opere sono figlie del nostro continuo interagire, del nostro confronto/scontro con la realtà. Non è il giornale che ha orientato la realtà, ma dando voce in quella piazza ad una pluralità mai vista prima, anche nella sua eterogeneità (penso alla stagione dei conflitti dei primi anni Ottanta, fino alla “riconciliazione”), ha liberato energie, ha permesso loro di interagire e di evolvere. In questo senso penso a quel luogo nuovo come a un lievito che consente all’impasto, fatto di farina e acqua, di prendere forma e fragranza. Ma quel luogo, grazie anche alla nascita successiva di due nuove testate, non è mai stato luogo chiuso, provinciale. Ha saputo mostrare e raccontare la città e il Veneto, con le sue contraddizioni, i suoi successi e le sue velleità.
Il Mattino è stato la sua redazione, fatta di giovani piante innestate su sapienti professionisti affermatisi in altre testate, ma desiderosi di sperimentare nuove frontiere della libertà e della verità, assieme alla personalità e umanità dei suoi direttori, che nel corso degli anni hanno interpretato in modo, anche molto diverso, il ruolo. Ricordo l’interpretazione da protagonista della vita civile cittadina del compianto Fabio Barbieri che, se necessario, vestendo gli abiti di portavoce dei lettori, arrivava a sferzare la politica indicando obiettivi da perseguire. A lui si deve negli anni Ottanta il recupero della “cattedrale” dell’ex macello di via Cornaro, allora in abbandono. E’ significativo che quella redazione, formata ad una scuola rigorosa, abbia allevato e prodotto più di un direttore di questo stesso giornale e di altre testate nazionali, senza per questo scadere nel provincialismo ed anzi coltivando come missione, come i nostri imprenditori, l’attenzione e il confronto con ciò che succede in Europa e nel mondo.
In quel lontano 1978 il giornale seppe rompere vecchi schemi, fece emergere energie nuove, diventando protagonista, assieme ai padovani, delle trasformazioni prodotte nel corso degli ultimi anni e delle traiettorie proiettate verso il futuro. Una sfida che deve rinnovarsi ogni giorno, perché gli allori finiscono poi nelle bacheche e la pigrizia rischia di rinsecchire la pianta. Uno stimolo a continuare nel solco di questi ultimi 40 anni, per poter continuare, assieme alla città, a festeggiare nuovi traguardi.
Ivo Rossi
Padova 29 marzo 2018
(Foto: con Paolo Giaretta in redazione de Il Mattino per i primi 10 anni del quotidiano; Claudia Basso; con Fabio Barbieri e Checco Jori nel 2004 in sala Rossini)