Giulio Bresciani Alvarez e l'architettura che racconta storia e politica
Sono passati vent'anni dalla scomparsa di Giulio Bresciani Alvarez. Lo voglio ricordare per il suo impegno civile, per il suo essere stato una straordinaria figura di intellettuale “prestato” alla politica. Un servizio, che proprio in una stagione come quella che viviamo, in cui il civismo sembra diventato il tratto distintivo della partecipazione politica, mette in luce la generosa disponibilità di figure di primo piano del mondo intellettuale e la consapevolezza, da parte dei partiti, dei propri limiti. In passato, queste figure atipiche rispetto agli uomini dei partiti venivano ricercate con cura. I partiti avvertivano che grazie al loro contributo avrebbero arricchito il proprio bagaglio e le proprie competenze.
Per l’epoca si trattava di figure “indipendenti”, personalità libere, non inquadrabili, di cui il consiglio comunale di Padova ebbe modo di apprezzare il contributo. Ricordarlo ci aiuta anche a leggere il tempo presente, le nuove forme di rappresentazione della politica e il rapporto della stessa con il pensiero, con la lettura critica, in una parola con gli “intellettuali”. Giulio arriva nel parlamentino di palazzo Moroni dopo essere stato per oltre trent’anni un rispettato e autorevole punto di riferimento del dibattito culturale cittadino, sia come presidente di Italia Nostra e del Comitato Mura, sia come educatore nel suo ruolo di preside dell’Istituto d’Arte Pietro Selvatico.
Ricordarlo significa ritornare ai suoi studi fondamentali sulla storia dell’architettura della nostra città, in cui ha saputo leggere dentro alle pietre la fusione della storia e del vissuto politico della nostra comunità cittadina. Fondamentali i suoi studi sul Santo, su Santa Giustina e sul Duomo, in cui intravede nel modello architettonico il frutto di una scelta politica di Padova, una scelta che anche attraverso gli stili dell’architettura parlava del suo orgoglio, contrapposto all’arte bizantina di Venezia, che prediligeva forme orientali. Con Giulio, l’architettura diventa espressione di una visione non solo culturale ma anche politica. La cifra di una comunità. E’ stato un intellettuale che ha saputo cogliere le sfide del suo tempo, non solo affrontandole dalla cattedra di chi studia e talvolta è chiamato a giudicare le scelte altrui, ma assumendo la responsabilità delle scelte.
Ha insegnato ad una generazione come la mia, che si occupava della dimensione pubblica, ad amare le pietre della città, le loro forme, i loro colori, perché intimamente legati alla vita degli uomini e alle loro speranze. Quelle pietre sono diventate testimonianza di un’ambizione che ha bisogno di essere rinnovata. Una testimonianza viva che continua ad interrogarci, che ci obbliga ad alzare lo sguardo sul futuro da costruire. Con la consapevolezza che i barbari distruttori sono sempre in agguato.
Ivo Rossi
9 aprile 2017
Nella foto: Incontro sulla città metropolitana di Padova, 1993, con Paolo Feltrin, Vincenzo Pace, Giulio Bresciani Alvarez, don Claudio Bellinati, Bepi Toffanin, Ivo Rossi.