Viaggio dentro alle città. La sfida delle periferie

Piano UniMatteo Renzi ha annunciato l'investimento di 500 milioni sulle periferie delle nostre città. Tema al centro della Biennale architettura di Venezia, aperta in questi giorni. Due anni fa, introducendo la lectio magistralis di Renzo Piano all'Università di Padova, affrontavo la sfida in questi termini:

Un saluto va a tutti i presenti, in particolare ai tanti giovani che con la loro presenza testimoniano non solo l’interesse e l'affetto verso questo grande italiano, che non a caso il presidente della repubblica ha voluto insignire della carica di senatore a vita, ma, io credo, anche verso l’opera, il pensiero che hanno contribuito a dare volto e senso a molti luoghi della nostra Europa.

Non voglio sottrarre tempo al suo racconto. Partendo dagli spunti che ci offre questa prestigiosa aula e dall'intitolazione del premio a Barbara Capocchin, mi soffermerò sui giovani e sul cambiamento delle città, da considerare come veri e propri organismi viventi che conoscono continue mutazioni e che vivono non solo di pietre ma di emozioni, di stati d’animo. In questo processo di continua mutazione i giovani sono chiamati a immettere spinte innovative: con la loro voglia di immaginare il domani, in quale società vorrebbero vivere, in quale città vorrebbero annodare la trama della loro vita futura.

Per farlo, farò mie le parole che Renzo Piano ha usato al Senato in occasione della scomparsa di un altro grande italiano, Claudio Abbado: che gli era amico, e che con lui fin da giovani ha condiviso sogni e speranze.

“Eravamo dei giovani ribelli”, ha spiegato Piano, e ha aggiunto: c’era una sorta di complicità tra il musicista e l’architetto, tra chi compone lavorando con la materia più immateriale e più leggera che esista, cioè il suono, e chi invece costruisce.

Ecco: quei due giovani erano convinti “ che la bellezza, l’arte, la cultura – non quella paludata, quella con la c maiuscola, ma quella di tutti i giorni, fatta di curiosità, di esplorazione, di ricerca – rendano le persone migliori”. A me pare che queste parole esprimano al meglio il senso della sfida, della tensione verso il futuro, un'idea di cambiamento che poggia su solidissimi cardini. Bellezza, arte, cultura, parole che le trasformazioni urbanistiche degli ultimi decenni del secolo scorso sembrano non aver saputo interpretare; e la loro estraneità ha banalizzato i luoghi, li ha resi anonimi, tutti uguali.

Lo vediamo bene nel nostro Veneto, la terra dei capannoni cresciuti alla rinfusa in quella che prima era campagna. Ma lo si vede anche in molte periferie, cresciute come se l'unica domanda da soddisfare fosse quella di dare un tetto alle persone, e non invece di dare vita a un luogo in cui valga la pena di vivere, di stare in relazione. Sempre Renzo Piano, pensando alla tensione che animava quei giovani curiosi, innamorati del futuro, che avvertivano la necessità di dare un senso alle loro aspirazioni, ha annotato: “vi era quella che allora si chiamava l’ansia del sociale: nulla di quella esperienza straordinaria, che era fare musica o fare architettura, era separato dalla società, dalla militanza, dalla passione, dall’idea impossibile di cambiare il mondo con la musica".

E’ un messaggio che contiene non solo la speranza di ragazzi ansiosi di dare un loro contributo per forgiare il futuro, ma anche e soprattutto la voglia di lasciare un segno profondo nel mondo in cui sono immersi; ed è un messaggio di grande responsabilità sociale.

Lo è sicuramente quella che l'architetto e l'urbanista esercitano con la loro opera, che incide immediatamente non solo nella vita del committente ma in quella di un'intera comunità, così come nelle emozioni delle persone destinate a vivere quei luoghi. Lascia un segno; e quindi, se questo segno è brutto, come purtroppo brutti sono i segni di molte nostre periferie, quei segni incidono anche nell'anima delle persone. Ce ne accorgiamo tutti i giorni: nei luoghi brutti è più difficile vivere; nei luoghi brutti si esprimono relazioni sociali difficili. Il messaggio di Renzo Piano in questo senso esprime straordinaria attenzione verso i luoghi dove interviene: esprime rispetto verso le persone, come avremo modo di apprezzare a fondo nell'esposizione che inaugureremo fra qualche ora nel Palazzo della Ragione.

Non siamo di fronte all'archi star che cala la sua opera come una sorta di astronave arrivata da Marte. Siamo di fronte all'artigiano che con la sua creatività, la sua arte entra nel tessuto, cerca di comprenderlo, cerca di immaginarlo vivo e vissuto nel momento in cui l'opera diventerà un tutt'uno con le persone. È un messaggio che dovremmo tutti fare nostro: tanto più chi, come chi vi parla, ha responsabilità verso la città. È un orizzonte verso cui tendere, consapevoli che una stagione è finita; e per fortuna, mi verrebbe da dire.

È finita la stagione della gratuita espansione edilizia, spesso portatrice di forme banali e omologanti, che ha deturpato buona parte dei nostri territori. La nostra azione dovrebbe sempre essere guidata dal bene comune, dallo stare bene delle persone dentro ai luoghi, dal creare luoghi che esprimano l’identità di chi li vive. Si tratta di un esercizio difficile che solo con una visione alta degli interessi in gioco, non solo dunque quelli immediati del committente, può dare quel respiro indispensabile affinché le cose vivano anche dopo di noi. E non è un caso che, come quest’aula o il palazzo della ragione, con l'intero tessuto cittadino in cui sono inseriti, siano ancor oggi esempi straordinari di architettura che si fa bellezza.

La sfida dei prossimi anni sarà restituire ai luoghi figli della lunga stagione del secondo dopoguerra un'anima, un'identità, incamminandoci sulla strada della rigenerazione urbana, della ricucitura dei tessuti, del rammendo delle nostre periferie, come dice Renzo Piano. Rammendare, ricucire, ritessere relazioni, esaltare l'unicità e la personalità dei luoghi. Sono queste le sfide per chi amministra con lo sguardo rivolto al futuro, ma anche per i professionisti che sempre di più dovranno diventare cantori della bellezza.

E consentitemi di concludere con le parole che Renzo Piano al Senato attribuisce all'amico Claudio Abbado, parole di speranza e di impegno che devono diventare un faro per ognuno di noi: "la bellezza salverà il mondo e lo salverà una persona alla volta. Sì, una persona alla volta, ma lo salverà".

Vi ringrazio e ringrazio il maestro per aver scelto Padova per raccontare il suo viaggio dentro alle città.

Ivo Rossi

Padova, 15 marzo 2014

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