Le città nell'era post-pandemica

I lunghi mesi di lockdown, effetto indiretto di un virus sconosciuto ma non inatteso, stanno incidendo in profondità nelle nostre relazioni sociali ed economiche e nella nostra percezione dell’ambiente e dello spazio in cui la vita si svolge. La dimensione spettrale delle città, ridotte a vuote quinte di palcoscenico, rimarrà probabilmente nella memoria di questi mesi in cui il fluire della vita è temporaneamente scomparso dallo spazio pubblico. La domiciliazione coatta a cui siamo stati obbligati ci ha costretti a guardare e interpretare lo spazio - quello privato e quello pubblico - con occhio diverso, scoprendo angolature inaspettate e spesso sorprendenti.
Il distanziamento spaziale, come nuovo metro delle relazioni interpersonali, ha ulteriormente ridisegnato gli spazi della socialità nello spazio pubblico. 

Le città - come ci ricorda Giuseppe Zaccaria nelle sue "Dieci tesi sull'era post-pandemica" edito da Padova University Press https://www.padovauniversitypress.it/system/files/attachments_field/9788869382017.pdf - in virtù dei processi indotti dalla pandemia, sono già cambiate e saranno chiamate ad uno sforzo interpretativo e organizzativo straordinari, che può essere vissuto in termini difensivi, immaginando un ritorno alla “normalità” della vita precedente, o accettando le nuove sfide che impongono cambiamenti profondi di traiettoria. In questo senso gli attori politici e sociali, dall’imprenditoria al mondo del lavoro, sono chiamati ad uno sforzo senza precedenti sia per organizzare le nuove funzioni produttive, sia per mantenere la coesione sociale minacciata dagli effetti della crisi. L’amministrare, inteso come gestione degli affari ordinari, dovrà lasciare il posto al progettare, alle suggestioni della visione, alla costruzione di nuovi orizzonti in cui traghettare la città futura. 

Negli ultimi mesi abbiamo sperimentato il valore della solidarietà come collante sociale, ma questo valore fondamentale non deve far perdere di vista le sfide competitive che si apriranno fra i territori, ognuno alla ricerca del proprio spazio funzionale. 

Se le città, nella loro forma e rappresentazione, riflettono le risposte succedutesi nel tempo ai bisogni dell’uomo - pensiamo ai portici come estensioni della residenza in funzione delle attività artigianali -  è dai cambiamenti indotti dalla pandemia sulle nostre vite che bisogna partire per ripensare le città, i loro servizi e la loro nuova struttura.

L’irruzione della dimensione digitale, prima presente in forma quasi accessoria, ha indotto profondi cambiamenti nelle nostre comunicazioni interpersonali, ma è sopratutto nel lavoro che l’introduzione spinta dello smart working determinerà profondi processi di trasformazione organizzativa. Una potenzialità, immaginata come opportunità teorica, è diventata improvvisamente una realtà per centinaia di migliaia di persone e di aziende che hanno “scoperto” i vantaggi sistemici del lavoro a distanza, che abbatte costi aziendali e spostamenti di persone. La crescita in borsa dei valori delle piattaforme di video conference è l’anticipazione di una nuova significativa rivoluzione del lavoro, destinata a ridurre spese aziendali e a incrementare la produttività, con effetti non indifferenti sul mondo dei servizi alla persona e del trasporto, aereo in particolare. Si tratta di una svolta destinata a permanere e ad estendersi in futuro, trasformando lo spazio privato, fino a ieri immaginato in funzione esclusiva della vita domestica, in spazio polifunzionale. E se lo spazio dell’intimità cambia segno, un cambiamento uguale e contrario riguarderà lo spazio in cui si esercita l’ufficio, il lavoro in rapporto agli altri.  La scienza della pianificazione urbanistica novecentesca ha separato gli spazi del lavoro - inteso come attività altra rispetto ai luoghi della convivenza - organizzando la città per funzioni (zone industriali, artigianali, direzionali, residenziali), suddivisioni che le amministrazioni cittadine saranno chiamate a ripensare, prevedendo una diversa articolazione delle superfici dedicate alla vita “privata” e una riduzione/trasformazione di quelle funzionali. Queste trasformazioni incideranno in profondità sui meccanismi della rendita urbana, sui valori immobiliari degli edifici e delle diverse aree della città, fenomeni destinati a modificare valori e a trasferire ricchezza fra le persone e gruppi sociali. Governare il processo o lasciare che sia il mercato a farlo sarà la nuova sfida delle amministrazioni cittadine.

La dimensione digitale della città, l’importanza delle sue reti attraverso cui trasferire informazioni, grazie alla chiusura forzata e alla necessità di rimanere comunque collegati per continuare a vivere, sia pur dentro ad una dimensione virtuale, ha prodotto un’accelerazione senza precedenti della nostra educazione digitale, anche sul versante delle imprese. In poco tempo abbiamo scoperto l’importanza di diventare smart citizens consapevoli, condizione indispensabile per rendere sempre più smart le nostre città, utilizzando appieno l’intelligenza generata dall’organismo urbano digitalizzato. Le stesse aziende, sicuramente quelle che erano rimaste più indietro, sono state chiamate ad innovare le loro reti e i loro processi. Nasceranno nuovi servizi. Funzioni che sembravano destinate solo alle grandi metropoli possono ritrovare, nei territori che scommettono sull’innovazione, nuove “centralità”. Dallo smart working alle video conferenze, la dimensione virtuale si è interposta alla dimensione fisica. 

L’ecommerce per l’acquisto di beni e servizi, quasi residuale in modalità pre Covid-19, così come i pagamenti elettronici in modalità contactless, hanno subito accelerazioni impensabili, che incideranno sulla modalità future di vendita dei prodotti nelle nostre aree urbane e sulla stessa fruizione della città. Come riorganizzare il commercio dentro le nuove catene del valore e come organizzare le sue piattaforme logistiche in funzione di una città che conservi la sua vivacità: tutto ciò impone uno sforzo rielaborativo profondo, che chiama in causa più attori, pubblici e privati, uniti dal comune interesse a mantenere vivo e rigenerare l’organismo urbano. La stessa rendita urbana, probabilmente sarà chiamata a partecipare ad una più equa distribuzione del reddito fra gli attori, pena il suo stesso impoverimento. 

La dimensione smart, in particolare per le città universitarie, rimanda alle modalità in cui il rapporto maestro/discepolo continuerà ad essere il centro della relazione, oppure se consentirà di integrare la formazione o, addirittura, diventare sostitutiva della formazione in aula, con effetti rilevanti sulla funzione educativa, sulla nozione di sapere e sul rapporto fra il sapere e i luoghi in cui si trasmette. Questione davvero delicata, non solo perché la virtualità toglie fisicità alla relazione, ma anche perché quella presenza è componente essenziale della dimensione emozionale della città, contribuisce alla sua economia e alla sua stessa fisionomia identitaria. 

Se la digitalizzazione sociale ha indotto nuovi processi, la sperimentazione della vita in casa ha indotto nuove domande di rapporto con il verde della città e con il verde dentro il proprio spazio privato. I terrazzini, concepiti in passato come angusti spazi residuali, hanno surrogato il bisogno di verde. Il giardino verticale probabilmente diventerà - con superfici maggiori rispetto a quelle ereditate a partire dagli anni ’50 - un tratto distintivo delle nuove residenze, chiamate a far convivere la dimensione domestica, il lavoro e il rapporto con la natura. 

Di fronte a questi cambiamenti nel rapporto uomo lavoro e uomo spazio, un immediato riflesso, indotto anche dal distanziamento spaziale - insisto sul concetto di spaziale, perché quello sociale, come viene comunemente definita questa esigenza, rimanda a differenze sociali e di censo - introduce cambiamenti nell’organizzazione della mobilità urbana e nella pianificazione delle aree metropolitane.  Mobilità e insediamenti, in particolare quelli riguardanti i grandi magneti delle funzioni pubbliche, dagli ospedali ai teatri, dalle facoltà universitarie alle sedi della sicurezza pubblica, dovranno essere pensati dentro nuovi equilibri urbani per evitare quella che  il grande poeta veneto Andrea Zanzotto definiva la crescita a “casaccio”, troppo spesso guidata dalle proprietà delle aree. 

L’impossibilità di trasportare grandi quantità di persone, almeno fintantoché il virus sarà presente fra noi, certamente costituisce un enorme problema dal punto di vista dello sforzo economico a cui sono chiamate le città e le società che gestiscono i servizi. La sua temporaneità non deve in alcun modo arrestare il lavoro per colmare il gap della mobilità di massa su sede propria (metropolitane, tram), che caratterizza le città italiane. Le difficoltà di oggi rappresentano però, allo stesso tempo, una grande opportunità per ripensare, oltre al nostro modo di muoversi, anche il nostro rapporto con lo spazio e con la qualità della fruizione urbana. La ciclabilità, in troppi casi pensata come elemento accessorio, diventerà strategica nel ridisegno della mobilità di quasi tutte le città italiane. L’avvento delle ebike rende possibile, a parità di tempo di percorrenza, lo spostamento in raggi urbani di 10 - 15 km. Si tratta di un investimento infrastrutturale dal costo relativo che, assieme all’abbattimento dell’inquinamento atmosferico prodotto dalla mobilità sporca, introdurrà nuovi modelli organizzativi nei sistemi urbani, eliminando la congestione da traffico e consentendo di gestire diversamente i tempi della città e la sua fruizione. 

La reinterpretazione della vita nelle città, dalla pianificazione urbana (hanno ancora senso le RSA in cui relegare gli anziani in condizioni di semi reclusione?), alla progettazione delle nuove forme dell’abitare, dalla gestione delle reti alla nuova mobilità, dalla dimensione smart degli abitanti e delle imprese, alle nuove forme della convivenza fra gruppi sociali e generazioni, sempre più diventeranno le condizioni per la rinascita, per consentire ai cittadini di interpretarsi come comunità di destino. Una sfida per la politica, obbligata ad andare oltre gli espedienti gestionali del metro di distanza fra i tavolini dei bar, per cimentarsi con scenari inediti della produzione manifatturiera e dei servizi, profili indispensabili ad affrontare le nuove competizioni.  

Ivo Rossi

Padova, 27 maggio 2020

Chi sono

Sono nato il 18 marzo 1955 a Padova dove vivo con mia moglie Franca. Sono laureato in Scienze Politiche con voto 110 su 110 e lode, con una tesi sugli istituti di democrazia diretta.

Sono dirigente della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie dove mi occupo di autonomie speciali e del negoziato per l’attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, in materia di autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario. Faccio parte della Commissione Tecnica per i fabbisogni standard di comuni e regioni e della segreteria tecnica della Comitato per la Banda ultra larga. 

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